Come se l’abitante di Leros fossi io

Nel luglio 1944 la guerra era vicina alla conclusione: le armate tedesche erano state pesantemente indebolite, su più fronti, dagli attacchi degli Alleati in Normandia e in Bielorussia. È il momento peggiore in tutti i conflitti: quando da perdere resta poco.

Rodi, nell’arcipelago del Dodecaneso, era ancora occupata dalle truppe tedesche che nel settembre dell’anno precedente avevano rimosso le unità italiane presenti sull’isola. Era passato quasi un anno, e agli abitanti di Rodi – e forse pure alle truppe tedesche – non era del tutto chiaro cosa sarebbe avvenuto. Però in nove mesi – con la vita che prosegue più o meno come prima, con i soldati tedeschi al posto di quelli italiani – qualche convinzione (oltre alla speranza) che la guerra finisca senza che tu o qualche tuo familiare ci rimetta la pelle è probabile, umano, che cominci ad averla.

Il 23 luglio 1943, dopo quasi un anno di illusioni, circa millesettecento abitanti ebrei di Rodi furono imbarcati su alcune navi mercantili e cacciati dall’isola. Alcune navi fecero sosta sull’isola di Koos e caricarono altre settantasette persone. Un’altra nave fece sosta ancora più a nord, per prendere l’unico abitante ebreo sull’isola di Leros. Arrivarono tutti ad Atene dopo otto giorni di viaggio, il 31 luglio; da lì furono trasferiti provvisoriamente nel campo di concentramento di Chaidari, dove rimasero fino al 3 agosto, quando furono portati in stazione e caricati su treni diretti ad Auschwitz e Birkenau. Ci arrivarono il 16 agosto; erano partiti il 23 luglio: oltre 2.300 chilometri, per terra e per mare, percorsi in ventiquattro giorni di viaggio. Da casa loro ai campi di concentramento.

Alcuni si sono salvati, alla fine, e hanno potuto raccontare questa storia (se ne parla approfonditamente in un documentario del 2013 intitolato Il viaggio più lungo, diretto dal regista Ruggero Gabbai).

È nella vicenda degli ebrei di Rodi e di Koos, e in quella dell’unico abitante ebreo di Leros, che riesco a sentire l’assurdità di questa storia. Ogni volta che ci penso. Come se quell’abitante di Leros fossi io. “Una storia di volenterosi nazisti, così atrocemente pignoli da ricordarsi anche dell’unico abitante ebreo di Leros, alla fine di una guerra ormai persa”, scriveva tre anni fa Roberto Coaloa in un articolo del Sole 24 Ore.

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